Processo penale e ne bis in idem alla luce dell’art. 4 Protocollo 7 CEDU

Processo penale e ne bis in idem alla luce dell’art. 4 Protocollo 7 CEDU
28 Settembre 2016: Processo penale e ne bis in idem alla luce dell’art. 4 Protocollo 7 CEDU 28 Settembre 2016

La Corte Costituzionale si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p. nella parte in cui detto articolo “limita l’applicazione del principio del ne bis in idem all’esistenza del medesimo fatto giuridico, nei suoi elementi costitutivi, sebbene diversamente qualificato, invece che all’esistenza del medesimo fatto storico”, stabilendo che l’art. 649 c.p.p. è costituzionalmente illegittimo per contrasto con l’art. 117, comma 1, Cost, in relazione all’art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU, nella parte in cui, secondo il diritto vivente, esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale (Corte Costituzionale, sentenza n. 200/2016) In buona sostanza il processo “Eternit bis” ha sollevato immediatamente la questione di una possibile violazione del divieto di doppio giudizio stabilito dall’art. 649 c.p.p.. Infatti, l’azione penale che ha dato luogo al processo “Eternit bis” fa carico all’imputato dell’omicidio doloso di 258 persone quando nei suoi confronti ed in relazione alla medesima condotta si era già concluso un altro processo (c.d. processo Eternit) nel quale questi era stato prosciolto per prescrizione dai reati di disastro doloso (art. 434 c.p.) e di omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro (art. 437 c.p.), causando così la morte o la malattia di circa 2000 persone, 186 delle quali erano state indicate nel nuovo capo di imputazione. Secondo il “diritto vivente” italiano un caso del genere non implicherebbe la violazione del principio del ne bis in idem perché non ricorrerebbe il medesimo fatto “giuridico” e quindi vi sarebbe la possibilità di poter instaurare un nuovo giudizio nei confronti del medesimo imputato, sebbene il nuovo capo di imputazione faccia riferimento al medesimo fatto “storico”. Certamente questa interpretazione si poneva in contrasto con l’interpretazione del concetto di “medesimo fatto” offerta dalla Corte europea dei diritti dell’uomo con riferimento all’art. 4 Prot. 7 della Convenzione, che fa riferimento al “fatto storico” e quindi alla dimensione naturalistica e concreta del fatto. Si tratta di un’interpretazione decisamente favorevole all’imputato che, in tal modo, non può esser giudicato due volte per il medesimo fatto storico, ma per due incriminazioni diverse (e suscettibili di concorso formale), come precedentemente riteneva la nostra giurisprudenza nazionale. Come detto, con la sentenza n. 200/2016, la Consulta si è allineata alla giurisprudenza di Strasburgo facendo proprio il concetto di “fatto storico”, al quale concorrono non solo la condotta dell’imputato, ma anche l’evento e il nesso causale, pertanto “sulla base della triade condotta-nesso causale-evento naturalistico, il giudice può affermare che il fatto oggetto del nuovo giudizio è il medesimo solo se riscontra la coincidenza di tutti questi elementi, assunti in una dimensione empirica, sicchè non dovrebbe esservi dubbio, ad esempio, sulla diversità dei fatti, qualora da un’unica condotta scaturisca la morte o la lesione dell’integrità fisica di una persona non considerata nel precedente giudizio, e quindi un nuovo evento in senso storico”.

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